Il tuono di ieri è risuonato lontano, ma tutta l’Italia ha interrotto per un attimo le proprie attività per provare a sentire un’ultima volta il fragore. Gigi Riva, detto Tuono rombo [fragor de trueno]probabilmente il miglior attaccante che la Nazionale abbia mai avuto e a Raro Avi che preferiva il successo in una piccola squadra come il Cagliari all’arricchirsi in una grande come la Juve o l’Inter, è morto questo lunedì all’età di 79 anni, dopo essere stato colpito da un infarto, nel capoluogo della Sardegna. La sporca ironia è che Riva ha osservato un minuto di silenzio nel primo minuto della serata tra i fischi dell’intervallo di Supercoppa Italiana in Arabia Saudita, il luogo dove oggi se ne va chi insegue solo il denaro.
Luigi Riva (Leggiuno, 1944 -Cagliari, 2024), alto un metro e ottanta, dal viso magro e dall’espressione triste, nasce a Leggiuno, sulle sponde del Lago Maggiore da una famiglia molto umile. Suo padre morì poco dopo in un incidente nella fabbrica dove lavorava e sua madre fu portata via poco dopo da un cancro. Riva, rimasto prematuramente orfano, è cresciuto in tre scuole religiose e ha iniziato a giocare a calcio, forse per distrarsi. Fino a 18 anni alterna il gioco del calcio – sempre al Legnano, in Serie C – con il lavoro in una fabbrica di ascensori. Ma Andrea Arrica, direttore generale del Cagliari, ha insistito per riportare questi agricoltori nell’isola: 37 milioni di lire in sette tranche. Un colpo di fortuna quindi. E un vero affare considerando quello che sarebbe successo di lì a poco.
L’isola dove non si è più trasferito, si è sposato e ha cresciuto i suoi due futuri figli, ha segnato una carriera sempre guidata da un senso di libertà radicale che gli ha fatto mantenere l’impegno nel piccolo club fino al successo. Ma all’inizio non è stato facile. A lui la Sardegna del 1964 appariva come un deserto di pietra e un po’ illusorio in mezzo al Mediterraneo. Molte città non hanno elettricità e passano i traghetti. Riva, un uomo timido e di poche parole, inizialmente si sente a disagio nel paese pastorale descritto dalla Sardegna, premio Nobel, Grazia Deledda. Nel tempo, questo conta Un uomo nato due volteun ottimo documentario di Federico Buffa (Sky), comincia a divertirsi perdendosi per le strade dell’entroterra nella sua Alfa Romeo Montreal, ascoltando l’amato Fabrizio D’André, per mangiarne un piatto fregola con gli agricoltori. Poi, nel silenzio, è tornato a lavorare al Cagliari, dove già cominciava a diventare un idolo. Questo non è per le classi inferiori.
Il primo anno la squadra fu promossa in Serie A per la prima volta. Poi Arrica ha messo insieme una bella squadra con allenatore Manlio Scopigno – soprannominato “il filosofo” – e Roberto Boninsegna, attaccante importante per accompagnare Riva al vertice. Anche perché anni dopo, con il suo trasferimento all’Inter, la società possa fare soldi e la sua stella possa restare. “Nel 1963 non volevo venire, ma poi ho messo radici e mi sono pentito di quei sentimenti. Poi siamo diventati pastori e banditi per tutti. E l’unica felicità per tanti sardi è il calcio: non voglio lasciarli”.
La Serie A ha due regole non scritte che determinano le possibilità di successo di una squadra e il destino di un grande giocatore. Il primo mostra che se qualcuno vuole vincere a scudetto, prima deve battere la Juventus. Il secondo avverte che, inoltre, è il calciatore a segnare il gol Vecchio Maestro Si concluderà l’anno successivo a Torino. Non c’è niente che piaccia di più ai tifosi della Juventus che accettare tutto ciò che li ha feriti. E Gigi Riva fa questo e molto altro ancora. E ogni volta che il Cagliari metteva piede sul suolo italiano, anche dopo essersi rotto una gamba giocando con la Nazionale, veniva accolto da un fattorino con un assegno e un biglietto aereo per il Nord. Non c’è mai una via d’uscita.
Gli infortuni rovinarono l’ultima parte della sua carriera da giocatore e lo costrinsero al ritiro nel 1976, dopo aver segnato 164 gol con il Cagliari in 315 partite di campionato. È stato tre volte capocannoniere della Serie A. Ma il miglior giocatore italiano della seconda metà del XX secolo è stato molto più di questo. Le sue imprese in Sardegna lo resero l’orgoglio dell’isola rispetto al lontano continente (fu dichiarato presidente onorario del club). Ha segnato 155 gol in Serie A e altri, ancora ineguagliati, 35 gol con la Nazionale. Riva divenne campione europeo con la squadra italiana nel 1968 e nel 1970, anno scudo, È successo anche nella finale del Mondiale in Messico, persa contro il Brasile di Pelé, e nella storica partita contro la Germania (4-3), partita di Beckenbauer con una fionda: l’Italia aveva sei giocatori di quel Cagliari. Riva, che fuma già 18 sigarette al giorno, è stato fondamentale per entrambe le squadre. Anche se per la Sardegna tutto ha un’altra dimensione, come scrive lo stesso Brera: “Il scudetto “Questo rappresenta l’ingresso dell’isola in Italia.”
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